DI POETA IN POETA
“Il sogno è l’ultima notizia che possiedo di te…”
Lettere di Franz Kafka a Milena Jesenská
Sabato 14 dicembre 2019, alle ore 18:00 nella Sala Iqbal Masih, ex Sala del Carmine, in via Vitruvio, 342, a Formia, con ingresso libero, si svolgerà il primo incontro della rassegna “Di poeta in poeta” promossa dal Teatro Bertolt Brecht all’interno del progetto “Officine culturali” della Regione Lazio e del riconoscimento del Mibact.
Primo appuntamento dedicato all’epistolario di Franz Kafka a Milena Jesenská, a cura di Pasquale Gionta, con la direzione artistica di Maurizio Stammati, letture di Salvatore Bartolomeo, Antonella Spirito, Serina Stamegna e Maurizio Stammati, e con l’accompagnamento pianistico di Luigi Pecchia.
«Un fuoco vivo come non ne ho mai visti»: così è per Franz Kafka (1883-1924) la giovane traduttrice ceca Milena Jesenská Pollak (1896-1944), conosciuta e amata sul finire della vita. A lei Kafka comincia a scrivere nell’aprile del 1920, sul balcone della pensione Ottoburg di Merano, dove si era recato per un soggiorno di cura. Donna generosa, sino all’eccesso, in amore e in amicizia, valori che anteponeva a tutto, donna coraggiosa e ribelle, capace di scelte che la condurranno fino alla morte in un campo di sterminio nazista, Milena diventa per Kafka poesia pura, musa ispiratrice nella ricerca di una solitudine per scrivere. Nessun’altra donna nella vita di Kafka riuscì a scandagliare tanto in profondità l’animo di un uomo costretto all’ascesi non per vocazione o come scelta eroica, ma per l’incapacità di scendere a compromessi.
Le Lettere a Milena sono la cronistoria di un amore complesso, intenso e già destinato a finire ancora prima di iniziare, un amore «impossibile» per un uomo che se ne serviva come «un coltello per frugare» dentro se stesso. La loro relazione è testimoniata da questa inquieta e struggente corrispondenza, una testimonianza tra le più rifulgenti della letteratura europea. Un incontro tra mondi diversi sullo sfondo dell’«epoca ebraico-occidentale» di cui Kafka è l’estremo rappresentante. Un itinerario ai limiti della parola e del dicibile, senza approdi definitivi perché, scrive Kafka a Milena, «siamo in ogni caso in viaggio, più che partire non si può».