“QUEL CHE RIMANE”
è un viaggio nella memoria e nella materia. Un attraversamento dell’Africa reale e simbolica, filtrata dallo sgurdo di Danilo Mauto Malatesta, che con le sue tecniche analogiche artigianali ha esplorato per oltre dieci anni i confini del visibile, del tempo, dell’identità.
In questo progratto, il fotografo si muove tra popoli, culture e territori spesso sospesi tra la sopravvivenza e la scomparsa: i Mursi, i Masai, i Samburu, i lottatori del Lamb. Ogni immagine è una soglia, un varco, un taglio sulla superficie del mondo. Talvolta la visione è filtrata da cellophane, altre da specchi strappati, da fenditure come quelle di Fontana. La fotografia non si limita a documentare: interroga, smaschera, resiste.
Il titolo, “Quel che rimane” è un atto di resistenza poetica. E’ ciò che resta dopo il passaggio della Storia, dopo lo sfruttamento, i piani economici calati dall’alto. E’ ciò che resiste nei volti, nei corpi, nei gesti quotidiani. E’ ciò che resta nell’anima di chi guarda.
Il lavoro dialoga con l’intuiziona pasoliniana di “Appunti per un’Orestiade africana” (1968-69), in cui il regista cercava in Africa quei volti mitici e tragici che l’Italia aveva smarrito nel boom economico. . Ma trova eco anche in un’altra narrazione: quella di Ettore Scola, Alberto Sordi e Nino Manfredi di “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa” (1968). Un film solo apparentemente leggero, ma che in realtà smaschera lo sguardo coloniale, le ipocrisie, le assurdità del rapporto tra Occidente e Africa.
Danilo Mauro Malatesta si inserisce in questa traiettoria con una voce personale, con uno sguardo non esotico, non invasivo, ma profondamente coinvolto. Le sue fotografie non sono rubate, sono restituite. E sono domande aperte.
“Quel che rimane” è anche la memoria delle zanne d’avorio in fiamme, dei corpi consumati dalla fame, della dignità scolpita nella carne. Ma è anche lo sguardo che resiste, l’umanità che non si piega, la bellezza che sopravvive nei dettagli.
Non è una mostra di denuncia, nè una celebrazione estetica. E’ una soglia da attraversare. Un laboratorio visivo, politico, umano. Una coesistenza umana da ricostruire, pietra dopo pietra.
Danilo Mauro Malatesta non fotografa per possedere, ma per chiedere, per ascoltare, per ricordare.
Quel che rimane, forse, è proprio questo.
La mostra fotografica, realizzata con il sostegno dell’Archivio Appetito e curata da Marina Sonzini sarà visitabile con ingresso libero dal 19 settembre al 18 ottobre 2025 dal LUN al VEN ore 10,30-13 e 15-19,30.
Via Monte Santo 26, ROMA.
VERNISSAGE 18 SETTEMBRE ore 18.
