Stiamo ballando su un vulcano…
Da quando esistono i primi esseri umani, essi sono sempre stati alla ricerca delle bocche di fuoco che le vesciche dei vulcani creano sulla pelle della terra. Quando, durante le loro migrazioni, si imbattono in una di queste bocche del diavolo fumanti o ruttanti, lo raggiungono con i loro rami di legno. Fascino, ma anche pericolo. A volte riportano la fiamma, a volte ne vengono inghiottiti. Il fuoco, questo primo essere, mobile, sfuggente, pericoloso e prezioso.
Per migliaia di anni, i nostri antenati hanno cercato di domare il tremante e violento “Fiore Rosso” conservando le sue braci in vasi di terra. Danzano sul vulcano per celebrare i suoi benefici: allontanare le bestie feroci, combattere il freddo, addolcire la carne cruda, i tuberi e i semi. Ma sa come protestare quando gli uomini abusano delle danze spensierate. La terra si ricopre allora di pustole gonfie che sputano fuoco devastante.
E il fuoco che prima guariva diventa la bocca di un drago che sputa il male. Sui Campi Flegrei, a pochi chilometri da Napoli, 400.000 anni fa l’uomo di Neanderthal ballava molto perché la terra rimaneva accessibile, come lo è ora, in mezzo alle sue fumarole. Poi, 39.000 anni fa, un’enorme bolla eruttò qui, formando una caldera che sputò polvere di cenere così lontano che il sole si spense e il cielo azzurro divenne uniformemente grigio. L’Europa orientale e l’Asia sud-occidentale furono investite da un inverno vulcanico. Morirono piante e animali. Gli uomini di Neanderthal non potevano più mangiare né respirare. Scomparvero dalla terra come i dinosauri prima di loro. Il vulcano si vendicò delle loro affermazioni. In seguito, avrebbe fatto lo stesso nella vicina Pompei o sull’isola di Santorini in Grecia. O a Stromboli… Neanderthal, incosciente, aveva ballato troppo. Poi, dalle profondità dell’Africa, arrivò Sapiens.
Attraversò le terre e rispettò i vulcani, ma non danzò più sulla loro pelle, preferendo invece i lampi delle tempeste che gettano fuoco sui corpi degli alberi. Raccoglie i rami che bruciano finché non sa come conservare le braci come il “Fiore Rosso” dei suoi anziani… Con il passare dei millenni, il Sapiens non si limitò più a raccogliere il fuoco, come il Neanderthal, ma imparò a produrlo: percussione della selce sulla pirite, lungo sfregamento di bastoncini di legno… Si dimenticò il dio che glielo ha portato. Mangiava grazie al fuoco, lavorava la pietra e poi il metallo con il fuoco, si difendeva con il fuoco, ma uccideva anche, conquistava e violava con la forza del fuoco. Il caos e il vulcano ci ricordava l’uomo. Ha eruttato da tutte le sue vesciche terrene, ha vomitato i suoi torrenti di fuoco. E l’uomo si trovò gettato nel caos creato dai torrenti incandescenti. Fuggì dalla sua bocca e si gettò ai suoi piedi, diventando suo prigioniero, nell’oscurità dei rampicanti e dei tronchi d’albero carbonizzati. E così fù per il ballerino nero ai piedi del vulcano. Il caos ha precipitato la caduta degli esseri umani. Nel quadro di Valérie Honnart, ad esempio, il corpo di una ballerina capovolta viene risucchiato nel vuoto dell’aria, sospeso, levitante e fatalmente distrutto. La pittura aerea di Valérie contrasta con i suoi disegni festosi. Dopo averci invitato a danzare sul vulcano, ci trascina nelle frane, dall’eruzione sui pendii vertiginosi alle profondità abissali. Il passaggio dal disegno alla pittura. Il potere del colore del pigmento per immaginare e condividere il rosso del fuoco interiore. E Valérie stigmatizza la rivolta del vulcano: “la caduta” è l’opera cardine che ci porta dalla danza armoniosa alla rottura dell’equilibrio, segnalando la nascita del caos.
Il vulcano scuote bruscamente le spalle e la danzatrice cade. Di fronte a una massa di materia in movimento, nulla può fermare il suo ruzzolare tra cielo, terra e acqua. Una pittura senza peso. Un passaggio obbligato verso il rombo del fuoco e a causa di esso. Dopo la caduta, il fascino della bocca del fuoco ritorna sempre più spesso. La fotografia è impotente e la pittura è l’unico modo per avvicinarsi all’interno della terra, al suo fuoco interiore e centrale. Colori rossi e neri: fiamma e cenere. Una lunga e lenta combustione. Un’opera che richiama il fuoco al centro della creazione. Un appello a Prometeo, dio degli artisti, della terra bruciata degli scultori, ladro del fuoco riservato agli dei per donarlo agli uomini. Prometeo punito a sua volta da Giove. La prova della libertà. Soffrite come lui. Ma non abbiate paura di giocare con il fuoco. Dipingere il cuore stesso del fuoco, viaggiare al centro della terra, dove fuoco e acqua si mescolano: il vapore. Grotte di fuoco, cavità dove fuoco e acqua si mescolano: motore.
E così andare avanti. Avanzare contro il caos. Il mistero del nero delle origini. In principio non c’era nulla, quindi nero! Nero, quindi luce in rilievo, come dipinto da Pierre Soulages. Con la luce del fuoco. In principio era il fuoco! Come dice Empedocle, non c’è creazione dal nulla né distruzione assoluta. Tutte le nascite e le morti sono semplicemente la combinazione o la disunione di elementi primordiali. Da qui i quattro elementi, da qui il ritorno al fuoco