Matèria è lieta di presentare In Plain Sight: Photography, Power and Public Space in Britain, una mostra di opere fotografiche co-curata in collaborazione con Christiane Monarchi. Attraverso il dialogo tra linguaggio e spazio pubblico, la mostra indaga la fotografia come luogo trasformativo di azione e di dichiarazione d’intenti; politici, culturali o personali.
Al suo centro, In Plain Sight è al tempo stesso una riflessione sul ricco panorama fotografico britannico e una testimonianza dei suoi significativi contributi alla documentazione sociale, con un’attenzione particolare agli ultimi vent’anni.
Riunendo il lavoro di otto artisti che operano con l’immagine, la mostra apre un dialogo con storie specifiche del Regno Unito che continuano a influenzare la cultura visiva contemporanea. Le opere in mostra oscillano tra finzione e documento, rimanendo concettualmente radicate nell’esperienza e nell’analisi esistenziale della cultura britannica contemporanea: un contesto da cui emergono e dal quale si proiettano verso l’esterno.
La mostra risuona inoltre con la storia stessa di Matèria, ricollegandosi agli anni formativi trascorsi nel Regno Unito dal direttore Niccolò Fano negli anni 2000. Più che una semplice ricognizione, questa selezione è profondamente personale, modellata dalle influenze artistiche e dalle relazioni costruite in quel periodo – tra cui il dialogo duraturo con la curatrice ed editor Christiane Monarchi, con cui Fano ha collaborato più volte, e il rapporto continuativo con gli artisti Karen Knorr e Sunil Gupta, entrambi presenti in mostra.
L’esperienza di Monarchi nella fotografia è ampia: è co-direttrice di HAPAX, che pubblica una rivista semestrale dedicata allo sviluppo di nuove frontiere fotografiche e gestisce uno spazio espositivo a Londra. Ha inoltre fondato Photomonitor, che dal 2011 ha pubblicato oltre 1.400 contributi online e commissionato nuove ricerche in collaborazione con la University for the Creative Arts. Editrice, curatrice, docente e mentore per artisti, Monarchi fa anche parte del comitato direttivo di Fast Forward: Women in Photography ed è trustee del Centre for British Photography.
La mostra si costruisce attraverso un gruppo di opere tra cui, Friendly Fire (1989) di Anna Fox analizza i rituali performativi della leisure nell’era di Thatcher. Documentando partite di paintball organizzate da team aziendali e gruppi sociali, Fox mette in luce le assurdità del combattimento simulato sullo sfondo della Gran Bretagna post-industriale. Il lavoro rivela come gioco e violenza, spettacolo e critica, si intreccino all’interno del tessuto sociale, trasformando la fotografa in un’osservatrice che diventa, suo malgrado, parte della scena.
In A Post Industrial Dreamscape (2024), Jermaine Francis presenta una meditazione filmica e testuale sulla Gran Bretagna postcoloniale; le sue identità razzializzate, le culture musicali e il paesaggio politico in mutamento. Attingendo da archivi, immagini personali e dall’architettura della Gran Bretagna deindustrializzata, dagli anni ’70 al 2024, Francis costruisce un saggio visivo che si muove tra resistenza e introspezione. La colonna sonora stratificata, realizzata con Tony Bontana, rivendica la cultura rave e club come spazi radicali di espressione collettiva contro le politiche oppressive degli anni ’80 e ’90.
Con Trespass (1995), Sunil Gupta rilegge in tre atti la politica della visibilità attraverso il fotomontaggio digitale. Creato su uno dei primi computer Apple, il corpus affronta temi di appartenenza, sessualità e migrazione in contesti pubblici e domestici. L’opera esposta, tratta da Trespass III – ambientata nell’Essex e definita dall’artista una “porta d’ingresso in Inghilterra” – colloca l’identità queer e diasporica nel terreno contestato del multiculturalismo britannico.
Country Life (1984) di Karen Knorr propone una rappresentazione satirica delle gerarchie sociali britanniche nel pieno del Thatcherismo. Realizzata in interni domestici e giardini curati a Londra, in Scozia e nell’Oxfordshire, la serie parodizza gli atteggiamenti dell’aristocrazia terriera attraverso un raffinato gioco tra testo e immagine. Appropriandosi dei generi della natura morta e del paesaggio, Knorr individua un territorio in cui natura e proprietà si intrecciano, rivelando la persistenza del privilegio e la lenta trasformazione delle strutture di classe britanniche.
In False Flags (in corso), MacDonaldStrand affronta direttamente il simbolismo del nazionalismo e il linguaggio visivo della propaganda. Cancellando digitalmente le bandiere nazionali da fotografie di marce dell’estrema destra nel Regno Unito e negli Stati Uniti, gli artisti sottraggono l’iconografia legittimante del nazionalismo, lasciando gesti di appartenenza spogli e ambigui. Le opere, originariamente prodotte come grandi bandiere stampate, non possono più essere esposte nella loro interezza e sono qui presentate ripiegate in cornici triangolari cerimoniali.
La serie Explosion (2004–2009) di Sarah Pickering documenta le esplosioni sceniche utilizzate nell’addestramento della polizia e dell’esercito britannici, dove detonazioni controllate simulano l’impatto del conflitto reale. Fotografate nella campagna inglese, queste eruzioni di fuoco, fumo e luce appaiono insieme spettacolari e fuori contesto, mettendo in evidenza la tensione tra pericolo autentico e simulazione. Le immagini riflettono su come la cultura contemporanea si prepari alla violenza, la estetizzi e la consumi, trasformando momenti di distruzione orchestrata in scene sospese e seducenti. In questo gioco tra artificio e spettacolo, l’opera esplora il nostro rapporto mediato con il conflitto e con i sistemi che lo mettono in scena.
Il lavoro di John Stezaker esposto in mostra incarna il suo duraturo interesse per l’immagine trovata e per i meccanismi della percezione. Figura centrale dell’arte concettuale britannica, dagli anni ’70 Stezaker ridefinisce il rapporto tra fotografia, cinema e inconscio attraverso precisi atti di appropriazione e intervento. Tagliando e riconfigurando immagini d’archivio – spesso tratte da fotogrammi cinematografici, cartoline e ritratti pubblicitari – rivela la carica psicologica latente del frammento fotografico. L’opera presentata esemplifica la sua capacità di trasformare il familiare in perturbante, mostrando come desiderio, memoria e rappresentazione si intreccino nel patrimonio visivo della modernità.
Sea of Troubles (2023–2025) di Bettina von Zwehl guarda al XVII secolo come specchio dell’instabilità contemporanea. Sviluppata durante una residenza presso l’Ashmolean Museum di Oxford, la serie attinge al fascino dell’epoca per la filosofia naturale, la cultura del tè e il pensiero magico. Dipingendo e imprimendo bustine di tè usate su vetro, von Zwehl crea delicate astrazioni intrise di luce che evocano paesaggi in mutazione – metafore degli intrecci coloniali e della fragile alchimia del processo creativo.
In occasione dell’opening Matèria è lieta di annunciare il quarto appuntamento di OVERTON WINDOW – un ciclo espositivo ospitato all’interno della sua vetrina su strada – mirato a puntare i riflettori sull’arte digitale e on-chain, sviluppato in collaborazione con Re:humanism; la pionieristica piattaforma curatoriale fondata da Daniela Cotimbo dedicata ad esplorare le complesse relazioni tra cultura umanistica e scientifica, con una particolare enfasi sulla ricerca nell’ambito dell’intelligenza artificiale. OVERTON WINDOW presenta un’installazione dell’artista peruviano Nicolás Lamas, intitolata Collective memory.
INFO
In Plain Sight: Photography, Power and Public Space in Britain
Anna Fox, Jermaine Francis, Sunil Gupta, Karen Knorr, MacDonaldStrand, Sarah Pickering, John Stezaker, Bettina von Zwehl.
Matèria, Via dei Latini 27, Roma
Dal 5 dicembre 2025 a 1 febbraio 2026
Orari: da martedì a sabato dalle 11:00 alle 19:00
Contatti: contact@materiagallery.com, www.materiagallery.com
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