Di salvaguardia delle biodiversità, di recupero di saperi, di tecniche produttive e di promozione del cibo di qualità si occupa l’associazione “Slow Food” attraverso i volontari delle “condotte” locali. Anche Rieti ne ha una che cerca di promuovere ed accompagnare lo sviluppo socio-economico locale, attraverso la promozione di tradizioni produttive e gastronomiche che raccontano la nostra identità.
Slow Food non è per la “decrescita”. Cerca, invece, di promuovere una crescita “diversa”, economicamente, socialmente, produttivamente efficace e rispettosa delle diverse esigenze in una visione armonica di tutti gli attori in gioco. Una crescita sostenibile, per usare un termine diffusamente utilizzato e qualche volta frainteso da certa ideologia che confonde il rispetto ambientale con il freno alla modernità.
Una interessante pagina del nostro racconto è scritta dalla produzione della lenticchia nell’altopiano di Rascino. Un paradiso di selvatica bellezza dove il piccolo legume conosce una delle sue migliori declinazioni. Un paradiso dovuto al matrimonio felice tra cura umana e ricchezza naturale. Settemila anni fa in Asia la lenticchia era già un cibo basilare. Un cibo di cui restano tracce mediorientali nella tradizione biblica, come ricorda l’episodio di Esaù e di Giacobbe e presente nella quotidianità culinaria di greci e romani antichi. Resistente e sempre più diffusa, ora la migliore cresce da noi.
Un paradiso, quello di Rascino, che è narrazione e fotografia di ciò che rende unico, nel bene e nel male, uno dei territori più difficili della provincia sabina, indebolito da sempre dalla frammentazione delle proprietà e dalla difficoltà ad operare insieme in una prospettiva di sviluppo cooperativo. Ragione che fa della lenticchia di Rascino ancora una emerita sconosciuta nel mercato di qualità. Non industriale. È quanto emerso in una giornata d’incontro tra Slow Food e produttori di lenticchie organizzata dalla Pro-Loco di Fiamignano, presieduta da Pietro Calderini, socio dell’associazione e ricercatore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Rieti.
Una giornata interessante, quella vissuta da chi ha accolto l’invito della Pro-Loco, la scorsa domenica. Un incontro propedeutico alla possibilità che la lenticchia di Rascino divenga uno dei non tantissimi “presidi” italiani di Slow Food . Essere un “presidio” vuol dire entrare a far parte di un sistema produttivo basato su una agricoltura praticata con tecniche tradizionali, sul rispetto delle stagioni, sul recupero di saperi. Diventare “Presidio Slow Food” significa far parte di una comunità di produttori fortemente selezionata e motivata a rafforzare l’economia locale rispettando un complesso “disciplinare”.
Vuol dire che i produttori, riuniti in associazioni, debbono sottoporsi ad un rigoroso controllo sulla rispondenza tra ciò che viene etichettato e ciò che viene acquistato e consumato. Solo accettando queste procedure è possibile usare il marchio della chiocciola di Slow Food. A monte di tutto c’è la capacità di lavorare in squadra. Una capacità storicamente assente in un mondo come quello del Cicolano. Un mondo contadino, povero, organizzato socialmente alla maniera feudale fino al novecento dove ha proliferato l’individualismo, l’occhiuta diffidenza reciproca, talvolta la rivalsa sociale, non la cultura della mutualità, utile a soddisfare le necessità comuni ed a conseguire comuni obiettivi.
La giornata è iniziata con al visita della chiesa romanica dei “Santi Fabiano e Sebastiano“, restaurata col contributo delle famiglie di Fiamignano e della Fondazione Varrone. È proseguita fino all’altopiano di Rascino dove una pineta “artificiale”, ottenuta con pini non autoctoni, costituisce una barriera insuperabile al godimento di un panorama che solo l’immaginazione può rendere alla sua potenziale bellezza, mentre una piccola Chiesetta Alpina ricorda con discrezione il contributo di morte degli alpini del Cicolano. Si è conclusa in una delle storiche casette di pietra di contadini e pastori, un tempo abitanti periodici dell’altopiano, di proprietà di Domenico Lancia. Un piccolo maso oggi trasformato in Bed and Breakfast, dove i partecipanti hanno goduto della ricchezza e sapienza agro-gastronomica fiamignanense. Una evocazione di ciò che potrebbe offrire al turismo organizzato quella terra.
La giornata è stata una occasione perduta dagli amministratori provinciali che non hanno raccolto l’invito. A conferma della scarsa utilità dell’ente. Una occasione colta solo da Lidia Nobili, che, tuttavia, (per ragioni di famiglia alquanto serie) ha lasciato l’incontro prima che si facesse interessante. Interessante per l’intervento illustrativo di come si diventa Presidio Slow Food fatto da Edoardo Isnenghi, biologo, esperto di botanica e di agronomia, del comitato di Condotta di Rieti. Come Interessanti sono state le difficoltà evidenziate dai produttori nell’entrare in dinamiche di squadra che richiedono una grande capacità di trasformare abitudini e maniera di operare.
Diventare “Presidio”non è facile. Ma è una grande opportunità offerta da Slow Food. Non è facile organizzare le infrastrutture necessarie alla trasformazione della lenticchia in prodotto da collocare sul mercato in un momento in cui scarseggiano i contributi pubblici. Ma il passato insegna che quando di soldi pubblici ne correvano parecchi, con le famose Comunità Montane, ci sono stati solo sprechi e vantaggi per qualcuno.
Il territorio da decenni conosce solo declino ed emorragia demografica. È proprio per tamponarla che si vorrebbe partire da un legume tanto piccolo quanto prezioso che potrebbe fare da volano per altre produzioni. È una scommessa difficile, ma insieme è possibile vincerla.