L’Abbazia di San Giusto riunisce molti secoli di storia in uno splendido luogo.
Il monastero si affaccia sulla valle del fiume Marta, protetto da colline su entrambi i lati. Questa zona, a quattro chilometri da Tuscania, è stata anche in tempi antichi una zona abitata, e ci sono ampie prove di insediamenti etruschi e romani in questa parte della valle.
La presenza di sorgenti naturali di acqua potabile ha sicuramente incoraggiato gli insediamenti fin dall’inizio, e la presenza della vicina Via Clodia, il fiume Marta, e il mare hanno reso possibile alle persone di raggiungere la zona.
L’area era facilmente accessibile, e quindi le difese divennero fondamentali: le grandi mura di Tuscania (chiamata un tempo Toscanella) e le grotte nascoste nelle colline di San Giusto ci ricordano che l’ormai tranquilla campagna laziale era spesso una scena di guerra e saccheggi.
Papa Gregorio Magno racconta la prima attività monastica in Lazio nei suoi Dialoghi (scritti attorno all’anno 593-594) dove monaci, anche a nord di Roma, conducevano una vita cenobitica, cioè vivevano in comunità; Successivamente furono raggruppati sotto la guida di un abate che possedeva piena autorità su di loro. L’abate è stato a sua volta destinato a obbedire la volontà del vescovo locale.
La prima notizia sicura di una comunità monastica di San Giusto è della fine del X secolo (un documento risalente all’anno 962): monaci benedettini, seguendo la Regola di San Benedetto da Norcia, fondarono un monastero nella valle del fiume Marta, e, data la mancanza di notizie successive, è possibile che il sito sia stato abbandonato.
A San Giusto si possono ritrovare tutte le parti di un’abbazia del XII secolo:
- la Chiesa (il luogo di preghiera),
- la sala capitolare (per la discussione, l’insegnamento, e la spiritualità di gruppo),
- lo Scriptorium (per attività di studio e intellettuali),
- il Refettorio (dove venivano serviti i pasti),
- il dormitorio, e
- il Cellarium (per le attività pratiche, lavoro manuale, e la conservazione degli alimenti).
Sul lato occidentale dell’abbazia sono edifici per i Conversi, o fratelli, che non avevano stato clericale, ma che vivevano e lavoravano al monastero come laici. Indossavano un abito marrone invece di bianco ed erano esclusi dal presbiterio della chiesa durante le funzioni liturgiche.
Chiesa, Torre e Cripta
La Chiesa è divisa in tre sezioni: il presbiterio per i monaci, presso l’altare; una sezione centrale per i fratelli laici (conversi); una terza sezione, vicino al portale, per gli ospiti, i pellegrini e malati.
Sotto terra ci sono i resti di una precedente, più vecchia e più piccola chiesa (forse un’antica pieve). Ci sono anche alcune iscrizioni romane riutilizzate nel pavimento: uno vicino alla canonica di un certo Claudio, morto all’età di 65 e un altro, su un lato e non leggibile, nella sezione dei fratelli laici. Sotto due grandi lastre di vetro sono i resti delle fornaci per fondere le campane, sia nella fase benedettina e nella fase cistercense.
La cripta sottostante ha una forma che può essere trovata altrove in Italia centrale, simile a quello dell’abbazia di Farneta a Foiano della Chiana.