Il Fantasma di Olimpia Pamphili vaga ancora per Piazza Navona nelle notti di plenilunio e sferzate da temporali. Si dice che esca da Villa Pamphili con tutto l’oro trafugato al Papa su una carrozza guidata da un cocchiere senza testa e trainata da quattro cavalli neri che sputano fuoco, e dopo aver attraversato Ponte Sisto scompaia nel Tevere dove i diavoli vengono a prenderla per portarla all’inferno.
Il fantasma si avvicina alle povere vittime e ride in modo agghiacciante. Le sue risate rappresentano il disprezzo rivolto al popolo romano a cui non piaceva per la sua ambizione sfrenata, per le sue origini popolane e per il fatto che voleva regnare come una regina pur venendo da fuori Roma. Fino al 1914 esisteva, fuori Porta San Pancrazio nei pressi di villa Pamphili, una Via Tiradiavoli, così denominata perché si diceva (secondo un’altra versione della stessa leggenda) che lo stesso carro di fuoco la percorresse di gran carriera per portare la Pimpaccia alla villa papale, e che i diavoli vi avessero aperto una voragine per riportarsi all’inferno la Pimpaccia, il carro e tutto il resto.
Donna Olimpia Maidalchini fu una delle protagoniste della storia di Roma nel XVII secolo. Figlia di un appaltatore viterbese, il capitano Sforza Maidalchini, e di Vittoria Gualterio, Patrizia di Orvieto, Patrizia Romana e Nobile di Viterbo. Olimpia si sposò, giovanissima, con un ricco Paolo Nini che la lasciò vedova, ricca e libera dopo soli tre anni. In seguito sposando Pamphilio Pamphili, entrò nella nobiltà romana e con l’elezione pontificia, del cognato Giovanni Battista Pamphili, acquisì grande potere e ingenti ricchezze, tanto da essere chiamata ironicamente la papessa. La giovane donna, di natura ambiziosa e avida, ed estremamente volitiva, aveva ben imparato sulla propria pelle che l’unica difesa da un mondo fondato sulla prepotenza l’avidità e l’ipocrisia era combatterlo con le stesse armi.
Si disse che la sua beneficenza fosse sempre interessata: che la protezione assicurata alle cortigiane mascherasse una vera e propria organizzazione del traffico della prostituzione, che i comitati caritatevoli per l’assistenza ai pellegrini del Giubileo del 1650 fossero organizzati a scopo di lucro, che il Bernini, allora in disgrazia, avesse ottenuto la commessa per la fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona solo per aver fatto omaggio alla Pimpaccia di un modello in argento alto un metro e mezzo del lavoro che voleva eseguire. Rimasta vedova nel 1639 di Pamphilio (che naturalmente la vox populi voleva morto di veleno), ricevette dal cognato papa il titolo di principessa di San Martino al Cimino nel 1645 e feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona.
Alla morte di Innocenzo X, il 7 gennaio 1655, si dice: «ella trasse di sotto il letto papale due casse piene d’oro, se le portò via, e a quanti le chiedevano di partecipare alle spese del funerale del papa rispondeva: “Che cosa può fare una povera vedova?”»
Donna Olimpia morì di peste nelle sue tenute viterbesi di San Martino al Cimino nel 1657, lasciando in eredità 2 milioni di scudi. Ella è sepolta sotto la navata centrale della Basilica di San Martino al Cimino.
L’aspetto più interessante della figura di donna Olimpia è che gli eccessi che le furono attribuiti erano soprattutto relativi ad un’ossessiva avidità di denaro e di potere, tipica degli uomini ma non frequentissima, in maniera così esplicita e prevalente, nelle donne.
Si dice, che durante le feste a Roma, era tradizione per i ricchi, gettare in strada le candele che erano servite per illuminare le finestre, in modo che i poveri ne potessero beneficiare, ebbene la Pimpaccia, così chiamavano Olimpia i romani, faceva vestire da straccioni i suoi domestici per recuperare la cera delle candele e non sprecarla.
Da dove deriva il soprannome di Pimpaccia? Da una pasquinata, cioè uno scritto satirico lasciato sulla più celebre “statua parlante” di Roma, Pasquino.
In questo scritto Olimpia è definita “Olim-pia, nunc impia”
È un gioco di parole: in latino olim = una volta e pia =religiosa; nunc = adesso e impia (empia, piena di peccati!).
Quindi il senso della frase è: Una volta brava e religiosa, ma adesso corrotta e peccatrice! Da questo scherzo è nato il soprannome “Pimpaccia”.
Ma forse la definizione più divertente di Donna Olimpia è questa: “Fu un maschio vestito da donna per la città di Roma e una donna vestita da maschio per la Chiesa Romana”.
Tra le pasquinate rimaste celebri sul suo conto:
- Chi dice donna, dice danno – chi dice femmina, dice malanno – chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina
- Chi è persona accorta – corre da donna Olimpia a mani piene – e ciò che vuole ottiene. – È la strada più larga la più corta (a proposito della gestione, da parte della donna, dell’Erario Pontificio)
- Un giorno sulla statua di Pasquino comparve un cartello su cui era disegnata, con i lineamenti di Olimpia, una donna nuda che s’indicava il sesso. Prendendo a modello i cartelli che, ancora oggi, ricordano a Roma il livello delle piene del Tevere, e tenendo presente che donna Olimpia all’epoca avesse una relazione con il suo maestro di cappella che di cognome si chiamava Fiume, al di sotto del disegno era scritto: fin qui arrivò fiume.