Collalto Sabino è un comune di 466 abitanti della provincia di Rieti. Sorge su un picco a Sud del Lago del Turano, al confine con l’Abruzzo. Collalto Sabino è considerato uno dei borghi medioevali più belli e intatti d’Italia. Fa parte della Comunità montana del Turano.
La storia del borgo di Collalto fa risalire le proprie origini a tempi remoti: all’epoca dei Longobardi, che nell’Italia meridionale detenevano i ducati di Spoleto e Benevento, risale la distruzione del villaggio di Carseoli che sorgeva ove attualmente si trova Collalto. A questa distruzione si aggiunsero poi delle scorrerie portate avanti dai Saraceni, il che indusse i pochi abitanti rimasti nel luogo a costruire una primitiva torre di difesa attorno alla quale si costituì poi il moderno abitato di Collalto Sabino.
Nel X secolo l’area divenne sede di un gastaldato e nell’XI secolo divenne proprietà dell’Abbazia di Farfa che quivi stabilì un proprio monastero benedettino. Successivamente l’Abbazia cedette il borgo alla nobile famiglia dei Marsi con l’obbligo però di corrispondere un canone annuo alla comunità religiosa locale.
La particolare posizione del borgo, posto al confine tra lo Stato Pontificio ed il regno normanno di Napoli, lo rese un punto strategico a tal punto che venne visitato dall’Imperatore Federico II del Sacro Romano Impero durante un suo viaggio verso Rieti. Furono questi gli anni in cui il borgo godette di maggiore potenza e autonomia dai grandi possedimenti territoriali che lo circondavano, arrivando a godere del diritto di battere moneta e di ampliare le fortificazioni già esistenti con la costruzione di un castello. È in questo periodo che viene costruita una prima cinta muraria, in particolare dopo le battaglie di Benevento (1266) e Tagliacozzo (1268) che avevano visto il borgo di Collalto come uno dei principali punti di controllo della vicina Valle del Turano.
Nel 1297 il borgo viene ceduto da Carlo d’Angiò, nuovo re di Napoli, allo Stato Pontificio riconoscente della concessione del trono fatta a suo favore.
Il borgo fu successivamente feudo baronale di diverse famiglie nobili italiane e non sino a giungere al periodo risorgimentale: il 3 febbraio 1861 il castello e l’abitato di Collalto Sabino subirono un cruento assalto da parte di una folta banda di briganti formata da soldati borbonici sconfitti alla guida di Francesco Luvarà, reparti dell’esercito pontificio e delinquenti comuni alla guida del famoso brigante Chiavone. L’assalto era stato realizzato in opposizione al plebiscito del 1860 che annetteva il Regno delle Due Sicilie al neonato Regno d’Italia. Dopo che l’orda venne placata, il borgo venne annesso al Regno d’Italia inseguendo da allora le orme della storia patria.
Nel 2001 il comune è entrato a far parte del club de “I borghi più belli d’Italia”.
IL CASTELLO BARONALE
Il borgo divenne feudo nel 1350 e baronìa dal 1440. I primi signori furono Pandolfo e Rinaldo, seguiti da Oddone e Ludovico, tutti della casata dei Collalto che diede il nome al paese. Ad essi subentrò poi la famiglia dei Mareri che incominciarono la costruzione del castello locale.
Nella prima metà del ‘500 il borgo appartenne alla nobilissima famiglia dei Savelli, noti a Roma per aver dato molti pontefici al soglio di Pietro. Nel 1564 Cristoforo Savelli, perseguitato dai creditori, vendette il castello al suocero Roberto Strozzi, figlio di Piero, famoso banchiere fiorentino, famoso oppositore dei Medici. Lo Strozzi era intenzionato a restaurare il castello, ma la morte improvvisa lo colse e costrinse la sua famiglia a vendere il possedimento ad un altro nobile fiorentino: Alfonso Soderini.
I Soderini furono proprietari del castello per due generazioni, dedicandosi alla ristrutturazione della fortezza ed al suo adeguamento come mezzo difensivo in grado di opporsi alle armi da fuoco. Oltre a modifiche di tipo militare, i Soderini si dedicarono anche all’abbellimento ed all’ampliamento della parte residenziale del castello in occasione del matrimonio di un nobile rampollo.
Il cardinale Francesco Barberini che divenne proprietario del castello nel 1641.
I debiti colpirono anche i Soderini e Nicola, nel 1641, dovette mettere all’asta il castello, che finì nelle mani del cardinale Francesco Barberini, nipote del papa regnante Urbano VIII, il quale pagò il possedimento 102.000 scudi e lo siglò come “possedimento personale” facendone una propria residenza estiva. La trattativa venne condotta dal fiduciario del cardinale, il nobile Giovan Battista Onorati di Jesi.
Sotto il Barberini, il castello fu completamente restaurato e abbellito ulteriormente: le stanze rivestite di marmi preziosi, pavimenti a mosaico e soffitti a cassettoni. Grandi opere di miglioria vennero portate avanti anche durante tutto il Settecento quando la proprietà passò al ramo dei Barberini principi di Palestrina. Gran parte di questi arredi venne asportato dall’invasione napoleonica del 1798-1799. La guarnigione francese lasciò la fortezza l’11 aprile 1803 e, dopo la sconfitta di Napoleone, il castello tornò ai Barberini ma era ormai ridotto alla stregua di rudere e i nobili romani decisero di venderlo nel 1858.
La vendita andò a favore del polacco conte Corvin-Prendowski, discendente del re d’Ungheria Mattia Corvino, il quale procedette ad un restauro totale della struttura.
Nel 1861 il castello venne rovinato parzialmente dall’assalto dei briganti al borgo.
Alla morte del conte Prendowski, il quale aveva sposato la marchesa Cavalletti, il castello passò in eredità al fratello di questa, Giuseppe Cavalletti, il quale, non avendo eredi diretti, alla soglia della vecchiaia stipulò un vitalizio, in cambio della proprietà del castello, con il capitano dei carabinieri locali Ottavio Giorgi, il quale divenne il nuovo proprietario della struttura. Giorgi aveva sposato una ricca ereditiera americana, Claire Monfort, dalla quale ebbe due figli: Diana e Piero.
I Giorgi-Monfort restaurarono il castello, apportandovi modifiche minime ma avendo il privilegio negli anni antecedenti la Seconda guerra mondiale di ospitare personaggi di rilievo del mondo politico ed artistico dell’epoca come il principe ereditario Umberto di Savoia, Umberto Nobile, Ettore Petrolini, il pittore danese Gustave Andersen.
Alla morte di Piero Giorgi-Monfort nel 1988, il castello è stato acquistato dalla famiglia Rinaldi, discendente da una delle più nobili del borgo, che ha curato un radicale restauro architettonico del castello con l’intento di riportarlo all’antico splendore.
La rocca, attualmente, conserva il suo aspetto sei-settecentesco (a cui risale tra l’altro l’ultimo periodo di utilizzo militare del castello) articolato essenzialmente sulla torre centrale di forma quadrata affiancata da due torri angolari rotonde e da una serie di baluardi esterni. Il palazzo baronale, indipendente dalla rocca, è raccordato a quest’ultima tramite delle scalinate.
L’interno del castello accoglie anche un grande parco con un pozzo d’epoca. Al XV secolo risale invece la cinta muraria che racchiude il paese.
DA VEDERE
Nel borgo sono da vedere la bella fontana ottagonale in piazza della Podesteria, il Palazzo Latini del XVII secolo, recentemente restaurato, e nei pressi del cimitero la Chiesa cimiteriale di S. Lucia la parrocchiale è invece dedicata a San Gregorio Magno e si trova immediatamente fuori il castello, risalente all’XI secolo, dove è conservato uno splendido affresco del 1600.
Poco fuori dell’abitato, si trovano il Convento di S. Maria, con il bel portale del XV secolo e, a quota più bassa, le rovine di Montagliano, antico castello con circostante borgo, distrutto a più riprese tra il 1280 e il 1400.
Percorrendo un sentiero turistico, ci si può inerpicare sul monte San Giovanni sulla cui sommità si trovano i resti di un’antica abbazia edificata su un preesistente tempio romano.
Un tumultuoso torrente scorre a valle, aprendosi il cammino tra due pareti di roccia costituite dai contrafforti di Monte San Giovanni e Monte Cervia. Sulla riva c’è un vecchio mulino ora in disuso.
SPECIALITA’:
Le castagne, i formaggi, il miele; come piatti: i gnocchetti di farina di grano e granturco, la zuppa di fave, le fettuccine ai funghi porcini e la pizza ‘de ‘nfrasco’ cotta sotto la brace.
Voci correlate:
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